Debito pubblico

Note didascaliche per una integrazione della narrazione corrente

1. Debito pubblico. una narrazione superficiale image
Il dibattito mediatico sulla questione del debito pubblico in Europa è caratterizzato usualmente da omissioni non neutre che allontanano da una seria impostazione della relazione tra crescita economica e debito, e più in particolare debito pubblico.
Sotto la spinta di tensioni assai serie, tale situazione è venuta timidamente cambiando con la crisi iniziata nel 2008, con la pandemia e con un lungo periodo di tassi di interesse molto bassi, a volte negativi in termini reali o nominali. Successivamente, la comparsa di una sostenuta inflazione ha spinto a modificare tale quadro, determinando tassi di interesse nominali alti e un sensibile rallentamento della crescita economica, due elementi che peggiorano il contesto di sostenibilità del debito. Tali evoluzioni sono inquadrate da molti quali eccezioni temporanee, mentre si stenta ad affrontare i nodi teorici di fondo del rapporto tra debito e crescita, cruciali per le prospettive di tenuta del progetto europeo e per un disegno efficace della costituzione monetaria dell'Europa unita.
Da un punto di vista teorico e storico, l'utilizzo che si fa del debito pubblico è distorto. Come metteva in chiaro Milton Friedman, da integrare con Evsey Domar e altri, la spesa pubblica deve essere mantenuta in sostanziale pareggio fissandola al livello per il quale la popolazione ritiene legittimo il prelievo fiscale e la produzione pubblica di beni e servizi, e può inoltre aggiungervisi un importo a debito finanziato in moneta per lo stimolo della domanda aggiuntiva che il sistema economico può sostenere attraverso l'aumento del livello di attività senza aumentare i prezzi. A grandi linee, dovrebbe esser questa la stella polare di una sana politica economica che si ponga come obiettivo la crescita dell'economia e del benessere goduto dai cittadini. In un saggio di particolare lucidità, apprezzato non a caso da Friedman, Abba Lerner chiariva come la funzione eminente della emissione di titoli del debito pubblico fosse quella di drenare liquidità a scopi restrittivi della spesa, non quella divenuta invece usuale di effettuare manovre espansive di politica economica. E indicava nella moneta lo strumento elettivo delle politiche di accompagnamento e di stimolo alla crescita economica. Di tali punti sono approfonditi i passaggi teorici fondamentali nel capitolo 7 di questo testo, da integrare con le sommarie informazioni offerte nel capitolo 5.
L'uso distorto del debito pubblico, dovuto a una pluralità di cause - ad esempio la debolezza della politica, oltre che fraintendimenti teorici -, ha condotto in gran parte dei paesi avanzati a un accumulo crescente di stock di debito pubblico, talora con tassi di incremento e ammontare dello stock  che destano preoccupazione. A sua volta, ciò ha determinato, in particolare in Europa a un dibattito che ha stigmatizzato il debito tout court, senza riflettere adeguatamente sulle cause della esplosione del debito, sulle funzioni anche positive ed essenziali che il debito pubblico (non necessariamente con cedola, non necessariamente oneroso) è sovente chiamato a svolgere, senza riflettere sulla radice di quella distorsione, ma unicamente ponendo limiti che si sono dimostrati di difficile rispetto.

Chiarito qual è il livello elettivo di spesa pubblica e come la funzione del debito pubblico oneroso vada di fatto invertita rispetto a quella espansiva in cui viene utilizzato usualmente, si cercherà qui sinteticamente di introdurre alcuni argomenti relativi al debito che di solito sono taciuti, e si esporranno più distesamente le linee teoriche che hanno individuato nella moneta e non nel titolo di debito pubblico lo strumento più efficace, razionale e sicuro per le politiche di sostegno alla crescita economica.

Il primo e fondamentale nodo, propedeutico a ogni altra proposizione, è che in una società di mercato non esiste atto produttivo senza debito; debito che esprime la domanda e la promessa di pagamento, si tratti di un deposito bancario, di un assegno, di una carta di credito, di un biglietto di banca, di un titolo di Stato o di una azione, di una cambiale, di un impegno a saldare scritto o verbale. In varie forme, la produzione di beni di consumo o capitale fisso è indissolubilmente legata al debito, e non può crescere se non incontra un debito, un impegno ad acquistarla. Senza una incessante e razionale emissione di strumenti di debito, biglietti e altre mille forme di passività finanziarie, gli edifici di Manhattan, le ferrovie italiane, le ciminiere o le banche e le assicurazioni non sarebbero nati. Il debito è l'altra faccia del prodotto, flussi di prodotto e flussi di debito non possono che crescere insieme.
Le analisi alle quali i media hanno dato spazio propongono purtroppo del debito pubblico accezioni superficiali, improntate a una impostazione relativa a specifici contesti che possono determinarsi, caratterizzati da debito oneroso (che deve pagare un interesse; non tutto il debito paga interesse, ad esempio la banconota non ha cedola), da tassi di interesse superiori al tasso di crescita della economia (ad esempio, in fasi recenti i tassi di interesse sono stati nulli e inferiori alla crescita del prodotto), da spesa finanziata dal debito che produce incrementi di prodotto inferiori all'onere del debito e al rimborso del capitale. E' in detti contesti, non in altri, che possono avere valore formule comunicative diffuse, quali 1) l’onere che i padri egoisticamente trasferiscono sui figli, 2) il tentativo di vivere al di sopra dei propri mezzi, 3) la insostenibilità di un debito divenuto gigantesco, e altre simili che nulla hanno a che fare con una visione esaustiva ed articolata.
Vere dunque in situazioni particolari, queste formule celano una parte cospicua e diversa della realtà relativa al debito, stigmatizzano il debito tout court e non approfondiscono gli assetti normativi e di policy utili per conseguire una crescita stabile, evitando i pericoli della stagnazione come del dissesto fiscale. Di massima, i contesti avversi sono in molti casi fronteggiabili con strumenti tecnici semplici ed efficaci, quali ad esempio la sostituzione delle moneta al debito oneroso, o l'utilizzo di strumenti fiscali e amministrativi, e anche condizionali, invece dei tassi di interesse per contrastare dinamiche inflattive dei prezzi.
In contesti più ampi, dei quali qui ci occuperemo, le critiche al debito vengono fortemente relativizzate, o svaniscono del tutto. In sintesi, sulla base di una ampia letteratura, il debito pubblico non è di per sé da stigmatizzare per principio, anche se la forma del debito pubblico oneroso deve ritenersi da utilizzare in pochi casi, essendo preferibile lo stimolo monetario della economia. Anche in questo caso, tuttavia non senza limiti. Come detto, Milton Friedman legittimava una spesa pubblica in sostanziale pareggio, fissandola al livello per il quale la popolazione ritiene legittimo il prelievo fiscale e la produzione pubblica di beni e servizi; Evsey Domar ha chiarito che inoltre occorre una quota di debito che sostenga l'espansione della domanda e della produzione possibile grazie agli incrementi di produttività.
Facendo riferimento a una casistica generale, ad esempio a contesti sommariamente definibili come caratterizzati da tasso di interesse del debito stabilmente pari o inferiore al tasso di crescita dell'economia, si forniscono qui in forma didascalica poche semplici note che introducono alcune essenziali nozioni a integrazione del dibattito sul debito per renderlo più equilibrato: la natura del debito pubblico sia di passività che di attività, l'effetto macroeconomico della spesa pubblica in disavanzo, il legame complesso e non necessario tra moneta e inflazione, le riflessioni teoriche che hanno individuato nella moneta e non nel titolo di debito pubblico lo strumento per una politica di stimolo della crescita.
2. il debito pubblico è anche un credito image
Le affermazioni della pubblicistica sopra citate 1), 2), 3)  fondano la loro forza su un artificio retorico, che accomuna il debito di uno Stato al debito di un padre di famiglia o di una impresa (cosa già diversa) e genera un facile consenso suggerendo all’opinione pubblica e ai molti policy maker poco esperti schemi di ragionamento parziali ed erronei.
Una elementare confutazione di tale assimilazione espressa dalla penna certo non incolta di Paul Krugman (in realtà già concepita almeno dal XVIII secolo) non viene mai diffusa, tanto meno spiegata. Come scriveva J.F. Melon nel 1735 nel suo Essai politique sur le commerce con elementare esercizio di logica chissà perché inattingibile ai media moderni (pp 232-233, www.archive.org), "Les dettes d’un Etat sont des dettes de la main droite à la main gauche, dont le corps ne se trouvera point affoibli, s’il a la quantité d’alimens nécessaires, & s’il sait les distribuer. Il parut en 1731 un Mémoire Anglois, pour prouver qu’un Etat devenoit plus florissant par ses dettes."
Ovviamente è oggi possibile articolare più approfonditamente quello statement.
La principale confutazione di Krugman si riassume nel dato assai semplice che mentre un padre di famiglia è titolare del debito, ma non possiede il credito di contropartita, una economia nazionale possiede tanto il debito quanto il credito, e i due dati si elidono. Debitori e creditori sono membri della medesima economia nazionale, al netto del debito verso l'estero. Onde una economia nazionale, nelle grandi linee, non soffre nel suo insieme della presenza di debito pubblico, e occorrerebbe casomai discutere di questioni sottostanti quali l’impiego e gli effetti del debito, le condizioni macroeconomiche e la distribuzione del reddito che lo generano, la posizione netta di un paese sull’estero e le sue determinanti. E dei processi di contrazione o di espansione della spesa aggregata che l’emissione di debito innesca. Questioni importanti ma non cruciali nel contesto odierno, e che qui ci si deve limitare a enunciare.
3. il debito pubblico ha effetti macroeconomici  image
Un’altra importante questione, tra molte, è rappresentata dal fatto che mentre il debito di una famiglia e la spesa del ricavato dell’accensione del debito non hanno effetti macroeconomici, la spesa dello Stato ha entità e qualità tali da determinare importanti effetti macroeconomici (consumi, investimenti, incrementi o decrementi di produttività e reddito, ecc.), sia quando il debito cresce sia quando il debito diminuisce. L'emissione e il collocamento di debito pubblico hanno effetti sulla spesa aggregata e sul reddito nazionale, effetti di compensazione, o di espansione, o di contrazione.
Senza entrare in dettagli e tecnicismi, gli effetti macroeconomici del debito pubblico si basano sui processi di espansione o di contrazione dei flussi monetari di spesa aggregata che esso innesca e che si indirizzano nella economia reale, flussi pubblici e privati; i flussi monetari di spesa esprimono una domanda che retroagisce immediatamente sulla produzione, attivandola, potenziandola o restringendola. Se la spesa esprime una domanda in crescita di beni e servizi, in condizioni ordinarie il sistema produttivo si attiva per soddisfarla fino al punto di pieno impiego delle risorse.
Questo lo schema di base. Rilevano ovviamente poi in quali circuiti detta spesa monetaria si indirizza, ad esempio se reali o solo di Borsa, la velocità con cui avviene la spesa, se la spesa finanziata con debito pubblico amplia la spesa aggregata – e in tal caso può generare crescita – o solo compensa in tutto o in parte autonome contrazioni della spesa privata (come spesso nelle crisi) con conseguente aumento del peso del debito sul reddito, oppure contrae la spesa drenando risorse finanziarie che non vengono reimpiegate; e rilevano molte altre considerazioni e variabili che qui si omettono. Un debito acceso in modo non dissennato – ma si ricordi anche il paradosso delle buche o quello delle bottiglie in Keynes – e con particolari tecniche che determinino consumi e/o investimenti e l’instaurarsi di una convenzione espansiva genera come contropartita ricchezza e un flusso implicito o esplicito di reddito e benessere; non è un atto dissennato. Ma un debito pubblico oneroso acceso senza incrementare la spesa nell'economia reale - ad esempio per incapacità di generare lo stato di fiducia tra gli agenti o per assenza di strutture imprenditoriali e normative idonee ad attivare la spesa e creare le infrastrutture materiali e immateriali necessarie -, un debito che compensa solo (magari parzialmente) autonome cadute di spesa dei privati - un rinvio di una vacanza, ad esempio, per ragioni prudenziali -, o che incrementa solo la spesa in altri circuiti non reali (Borsa, estero, ecc.), o che meramente spiazza e sostituisce altri flussi di spesa, non genera crescita e si traduce in aumento del rapporto tra debito e reddito. E' tale debito pubblico che genera problemi per il suo rimborso.
Del resto, anche nella mera ottica dell’uomo comune, la nozione è ben chiara a chi accende un mutuo per l’abitazione di famiglia o per acquistare macchinari per la propria impresa, e che certo pensa di migliorare, non di tarpare, il futuro, e anche immediatamente il presente, dei propri figli permettendo loro di godere di reddito (implicito come i servizi abitativi della dimora o esplicito come ad esempio i flussi di reddito assicurati da macchinari acquistati), benessere, salute istruzione altrimenti non producibili. Accende un debito e migliora la situazione presente e futura.
Una chiosa importante, perché non del tutto evidente al senso comune, è che anche un debito che si espande per finanziare consumi, attraverso l'espansione del prodotto stimola occupazione e investimenti, mentre stimolare i soli investimenti quando la domanda non si espande è difficile o sovente impossibile.
Una articolazione di tale punto, chiarita in modo lucido nel corso della prima metà del ‘900 da autori quali Henry Abbati, John Maynard Keynes ed Evsey D. Domar, è che la crescita della produzione e della produttività per potersi verificare necessita di una domanda aggregata costantemente e sicuramente in espansione; vale a dire di flussi e stock di debito in espansione. Altrimenti investimenti e sviluppo del prodotto e dei redditi sono tarpati dall'assenza della promessa di pagamento, della domanda, o non sono programmati; un imprenditore che producesse sapendo che la domanda per i propri prodotti è inesistente sarebbe condannato in breve a sparire dal mercato.
Tale conquista di consapevolezza interviene come perfezionamento di un corso di elaborazione teorica e pratica che parte almeno da Boisguilbert, passa attraverso Sismondi e Malthus fino a Hobson, e trova fondamento in dati storici assai corposi e solidi. Solo la fiducia degli agenti in consumi in misurata e stabile espansione, ben calibrata, crea la convenzione espansiva che spinge a investimenti, aumento della produzione e della produttività, e dunque crescita del reddito e del benessere. Questa fiducia, questa convenzione tra gli agenti della produzione deve essere creata dalla politica economica, come avvenne nella Golden age, se non si instaura per processi contingenti e casuali. Si deve ad economisti di primaria grandezza, da Boisguilbert fino a Garegnani attraverso un percorso di alcuni secoli, la messa a fuoco nitida del rilievo strategico dei consumi per la crescita economica in una economia di mercato. Il pensiero economico ha anche messo a fuoco che una volta instaurata la convenzione espansiva non c’è alcun bisogno di politiche smodatamente espansive, di accrescere il peso del debito pubblico sul prodotto, di stimolare consumi futili e dannosi piuttosto che il progresso sociale, servizi qualificati, benessere diffuso, e anche stabile crescita dei profitti delle imprese.
Una specificazione importante, maturata con la sensibilità degli ultimi decenni, è che la crescita dei consumi non equivale necessariamente a spreco, futilità, inquinamento, devastazione dell'ambiente. Già nel secondo dopoguerra, i protagonisti della Programmazione economica italiana parlavano di qualificazione sociale della domanda, e ragionavano di consumi collettivi funzionali al benessere, dalle scuole, alla sanità, agli acquedotti. Non è tema di queste note, ma è evidente che stimolare e garantire la crescita non significa necessariamente promuovere modelli dissennati di consumismo, di spreco, di inquinamento, di devastazione del territorio, e deve oggi al contrario intendersi come crescita qualificata, che promuove il benessere diffuso e perequato, il progresso sociale e del diritto, la costruzione di abitati civili e ordinati, di servizi di integrazione sociale, di assistenza, di processi culturali avanzati, di recupero degli ambienti deturpati o a rischio, di riqualificazione urbanistica e architettonica, di igiene e prevenzione. E così via.
4. debito pubblico. il nodo è la banca centrale image4. debito pubblico. il nodo è la banca centrale image
Ancora, in tema di confutazioni principali della visione della retorica costantemente proposta, un padre di famiglia non può emettere moneta per ripagare il debito. Lo Stato sì, può, direttamente o attraverso la banca centrale cui delega tale funzione. Tale emissione avviene in corrispondenza di un deficit di qualche organo di sufficienti dimensioni, ad esempio il Tesoro o il sistema bancario, o il complesso dei privati,  o l'estero. Tale emissione è condizione essenziale per espandere la spesa aggregata e dunque il reddito, onde stimolare gli investimenti e assorbire l’incremento di prodotto che da essi deriva. È tale espansione sicura, ben calibrata e stabile che crea lo stato di fiducia, o meglio la convenzione espansiva, da cui scaturiscono gli investimenti e la crescita. Sono i flussi di spesa monetaria, non altro, la variabile determinante; l’emissione del titolo di debito pubblico è solo una delle determinanti dei flussi di spesa, determinante spesso superflua e anche irrazionale. Il finanziamento diretto del Tesoro da parte della banca centrale è la strada maestra per la soluzione della questione del debito pubblico.
Tra le numerose implicazioni della cruciale facoltà dello Stato di emettere moneta – in genere attraverso la banca centrale da esso delegata – ai fini del dibattito sul debito pubblico, se ne citano qui solo due. Poiché a fini macroeconomici rileva esclusivamente il flusso monetario di spesa, non la emissione o meno di titoli di Stato, in condizioni ordinarie di disponibilità di risorse inutilizzate, il finanziamento diretto del Tesoro o della spesa in base monetaria (in sintesi, i biglietti, senza scadenza e interessi, se non convenzionali) può sostituire in tutto o in parte l’emissione di titoli di Stato. In tal modo, il titolo con scadenza e cedola 1) scompare, oppure 2) viene controllato l’interesse da pagare sul debito pubblico e dunque si risolve il problema della sostenibilità del debito pubblico correttamente emesso.
Il caso italiano illustra in modo emblematico l’importanza del controllo del tasso di interesse sul debito pubblico. Il bilancio pubblico italiano ha avuto un saldo primario attivo per un trentennio circa, con pochissime eccezioni puntuali in occasione di gravi crisi internazionali o della vicenda pandemica. Ciò significa che il bilancio pubblico è stato ordinariamente in attivo, lo Stato spende per servizi, investimenti e acquisti meno di quanto procura il gettito fiscale. Entra in disavanzo solo per la spesa per interessi sul debito pubblico. Nessun lassismo del Tesoro e della politica in termini aggregati, a dispetto della vulgata. La rilevanza del tema dell'avanzo primario, sempre evocato e mai spiegato, risiede nel fatto che sul tasso di interesse, cioè l'onere del debito pubblico, si può intervenire in modo significativo, con la tassazione ad esempio, o con altri strumenti, elettivamente di politica monetaria, come si sta osservando da anni. Se si abbatte l’interesse sul debito, il bilancio italiano torna rapidamente in attivo salvo evenienze eccezionali.
Uno studio assai semplice e chiaro di Antonino Iero ha mostrato come in effetti l’impennata del debito pubblico italiano sia stata determinata dalla regolamentazione che ha impedito alla banca centrale dal 1981 in poi di controllare l’interesse sul debito pubblico, anche per il concorso di preoccupazioni contingenti e nella perfetta buona fede dei protagonisti. In tempi ordinari, fatta salva l’eccezione della pandemia, con la semplice misura del ripristino del controllo della banca centrale sull’interesse del debito pubblico si riporta (e si sarebbe potuto riportare in passato) il bilancio italiano in attivo e si mette in totale sicurezza lo stock di debito pubblico esistente. Stabilmente. Senza sacrifici, senza tagli di spesa e politiche sottrattive. Senza effetti depressivi sul reddito. Ripristinando spazio per investimenti pubblici e aumento del potere di spesa dei consumatori.
Ovviamente, vi sono complessità da considerare, che qui si devono omettere. Nulla di insuperabile. Il punto cruciale e determinante è quello espresso sopra.
In sintesi, una corretta politica monetaria può influire in modo determinante, e al limite ridurre a zero (oggi anche sotto zero) l'interesse sul debito pubblico e l'emissione di titoli di Stato.
Finché la politica monetaria non è chiamata a cooperare al controllo di una spirale inflazionistica, il nodo del debito è tenuto a freno da e risiede in realtà nella banca centrale. L'inflazione è fenomeno di estrema complessità - purtroppo usualmente trascurata da analisi superficiali -, ma le spirali inflazionistiche non sono una conseguenza diretta e inevitabile delle espansioni monetarie. Ancora, le spirali inflazionistiche possono essere controllate con politiche fiscali, normative e condizionali assai rapide e potenti. Il ricorso alla politica monetaria e ai tassi per il controllo della inflazione è una scelta, non una necessità.
5. l'emissione di moneta non genera necessariamente inflazione image5. l'emissione di moneta non genera necessariamente inflazione image5. l'emissione di moneta non genera necessariamente inflazione image
L’assunto implicito più importante che ostacola il finanziamento diretto del Tesoro da parte della banca centrale è che la moneta generi inflazione (un tempo era che la moneta dovesse avere una base metallica, di per sé finita e dunque era finita anche la quantità di moneta). Un dato sotto gli occhi di tutti per anni è stata la infondatezza di un nesso stretto e necessario tra moneta e inflazione; è possibile in particolari condizioni, certamente, ma non è fenomeno necessario e non è fenomeno sul quale non si possa intervenire.
La crisi del 2008 e poi in forma parossistica quella pandemica, come anche il caso del Giappone, per citare casi recenti noti a tutti, hanno mostrato che ciò non è vero necessariamente. Quantità senza precedenti di base monetaria sono state create per una dozzina di anni senza nessuna inflazione e con casi o timori di deflazione dei prezzi. Peraltro, non solo quantità eccedenti di moneta eventualmente esistenti possono rallentare da sole in molti casi la loro velocità di circolazione - il nostro tempo insegna -, adeguando automaticamente la entità dei flussi di spesa, o dirigersi in circuiti diversi – attività finanziarie e immobiliari, il che è un problema, evitabile anch'esso -, ma come ogni banchiere centrale sa quantità di moneta giudicate eccedenti possono facilmente essere sterilizzate. I flussi monetari di spesa, ovvero ciò che conta, possono essere regolati dalle autorità di politica economica, Tesoro e banca centrale, qualunque sia la quantità di moneta emessa, sterilizzandoli in vari modi.
Certamente, una abbondante liquidità rappresenta una condizione di possibilità di spirali inflattive, sebbene siano storicamente rilevanti casi di spirali dei prezzi che eccedono grandemente la dinamica della moneta. Ma solo in presenza di altre condizioni e se le autorità di politica economica non ne prevengono l’innesco dell'inflazione con politiche di coordinamento e amministrative, nonché di governo dei flussi monetari di spesa nell’economia reale. È un punto che andrà chiarito e approfondito meglio e che in altra sede è stato indicato col termine leadership di convenzioni, derivante dalla natura sostanzialmente di convenzioni delle dinamiche abnormi dei prezzi.
L’assenza di un legame stretto e necessario tra moneta e prezzi per complessità di ordine materiale e culturale non è una eccezione del nostro tempo. Chi fa storia economica non è sorpreso dell’apparente paradosso degli ultimi decenni. Si è presentato altre volte nella storia. Il caso forse più significativo è la lunga deflazione dei prezzi dell'ultimo quarto del secolo XIX. Ci sono ragioni chiaramente identificabili di tale connessione lasca tra moneta e prezzi, di ordine macro e microeconomico, a partire dal fatto che l'allargamento della scala di produzione e le innovazioni introdotte con gli investimenti riducono il costo di produzione.
In sostanza, dunque, l’emissione di biglietti correttamente governata non ha grandi limiti se non la disponibilità di risorse e la dinamica di alcuni altri obiettivi rilevanti. Dopo Abbati, dopo Lerner, dopo la dichiarazione di inconvertibilità del dollaro, e per certi versi dopo Stringher - l'uomo che fece grande la Banca d'Italia - e alcuni suoi precursori in Italia, si è compresa del tutto la natura unicamente fiduciaria del biglietto, strumento la cui emissione è libera ma condizionata alle variabili obiettivo della politica monetaria, livelli di attività, prezzi, cambio, bilancia dei pagamenti, investimenti, finanza pubblica.
La creazione di base monetaria da parte della banca centrale gode di margini di libertà indiscussi che anche solo due decenni fa non avrebbero trovato largo consenso, benché debba essere regolata attentamente e praticata con accortezza tecnica.
Ciò dota la politica economica di uno strumento di potenza straordinaria, che mette in sicurezza e in buona misura sostituisce il debito pubblico; può attivare, all’interno di una regolazione rigorosa, tutti i flussi di spesa necessari per creare una convenzione espansiva, uno stato di fiducia con consumi e investimenti in stabile espansione, creando il contesto di possibilità per il ritorno a politiche non sottrattive e di ritorno a una crescita sostenuta e, si spera, riqualificata, anche con il superamento di quella che è stata definita società dello scarto.
Si tratta di una fondamentale condizione di possibilità, non è condizione sufficiente. Ma solo su quella condizione basilare è possibile costruire politiche di crescita qualificata. L’emissione di titoli di debito pubblico diviene a quel punto uno strumento praticabile ma non necessario per sostenere l’espansione; e, come correttamente indicava Abba Lerner, uno strumento idoneo soprattutto a sottrarre liquidità agli agenti piuttosto che a espanderne il potere di acquisto.
6. Molto più che questione contabile. la dimensione economica del superamento del conflitto image6. Molto più che questione contabile. la dimensione economica del superamento del conflitto image
L'analisi economica è mero strumento per la costruzione del progresso sociale, che come sosteneva Gustav Schmoller rappresenta il vero nodo dello sviluppo; ciò implica questioni assai più scivolose di una teoria micro o macroeconomica. L'Europa ha dato troppo peso al mercato negli ultimi decenni, dimenticando che il suo spirito costitutivo è di carattere sociale, giuridico, e risiede altresì negli insegnamenti e nel superamento di una storia tragica di conflitti. Il Manifesto di Ventotene ben riassume ispirazioni che risalgono almeno alla rivoluzione francese e sublimano l'esperienza di due conflitti mondiali.

Il quadro sommariamente delineato sopra non solo è più solido teoricamente e aderente ai dati rispetto alla narrazione corrente, ma, rimuovendo il vincolo rappresentato da risorse finanziarie finite (le risorse finanziarie si possono creare ad libitum, sono il lavoro, le risorse materiali e di conoscenza che costituiscono limiti invalicabili), è ricco di potenzialità e soluzioni che si estendono bel al di là della dimensione finanziaria del debito. La questione reale sottesa al tema del debito è la questione delle risorse finanziarie delle economie nazionali, degli Stati e dei privati. Trascende di gran lunga la dimensione tecnica e contabile, e investe potentemente questioni relative alla forza e alla autonomia dello Stato, alla politica, alla coesione della società, alla geopolitica, alla giustizia. Ed è verosimilmente alla geopolitica e a dimensioni sovranazionali che bisogna guardare per comprendere a fondo le ragioni di una storia economica lontana e più recente. Si tratta di dimensioni meno facilmente inscrivibili in analisi tecniche, aperte a incertezza maggiore, ma essenziali, e anzi forse le sole veramente rilevanti.
Sicuramente il quadro di politica economica sopra delineato è capace di mettere in sicurezza la finanza pubblica e, al tempo stesso, è idoneo all’estrinsecazione di politiche economiche di stimolo alla crescita e allo sviluppo sociale. Sicuramente, restando in un solido quadro europeo e regolatorio, e anzi rafforzandolo, restituisce a tutti i paesi membri elementi sostanziali di sovranità/sussidiarietà, sicurezza e non ricattabilità di paesi e governi. Sicuramente, eliminando un contesto di limitatezza di risorse finanziarie e vincoli irrazionali, tale quadro elide un terreno di gioco a somma zero e conflittuale tra paesi membri, e ne costruisce uno in cui tutti hanno pari dignità e possibilità di crescere e svilupparsi, creando vitali sinergie reciproche per lo sviluppo. Sicuramente, tale quadro ricrea le condizioni per un ritorno dell’Europa a una leadership internazionale, non egemonica e tesa alla supremazia, favorendo l’unità strategica dei paesi membri, arrestando il declino relativo dell’economia europea rispetto ad altre aree del mondo, restituendo status e fiducia ai suoi valori sociali e giuridici fondanti di solidarietà, diritti e dignità umani, partecipazione democratica, legittimazione popolare dei gruppi dirigenti. Sotto il profilo politico, sicuramente tale quadro rappresenta un terreno di confronto e riconoscimento reciproco tra le tradizioni della sinistra e una destra che da tempo non solo ha di fatto largamente abbracciato la democrazia, ma anche ritrovato una ispirazione sociale e di difesa dei ceti popolari piuttosto che di rappresentanza di interessi elitari. Sicuramente aiuta a superare cosiddetti sovranismi, ribellismi e populismi e sfiducia nelle istituzioni, ponendo fine agli assunti teorici che hanno determinato un trentennio di politiche sottrattive e di ostilità al ceto politico e alle istituzioni e tracciando, come già era accaduto negli anni ‘30 del ‘900, una base strutturale di convergenza tra interessi delle élite e dei ceti popolari; si sottovaluta grandemente il ruolo che tale contesto silente di fiducia nelle risorse della politica economica e nella crescita ha giocato nella evoluzione degli assetti politici domestici e internazionali dell’Europa post-bellica. Sicuramente, quel quadro smonta parole d’ordine e la retorica della necessità del ritorno della inflazione per abbattere il valore reale del debito pubblico, inflazione che significherebbe riproporre in termini reali, non più nominali, la medesima logica di austerità, di redistribuzione del reddito a favore dei forti, dei price setter, di impoverimento dei price taker e di ulteriore concentrazione delle imprese e dei luoghi di produzione; ed evidenzia la urgenza di politiche culturali e di coordinamento utili a evitare che pulsioni di rapido ripristino dei conti economici e di necessari riassetti dei prezzi relativi vengano traslate in distruttive e conflittuali dinamiche inflattive.
Sicuramente, infine, non tutto è noto e ancora vi sono aspetti importanti sui quali la ricerca deve avanzare, e, se necessario, emendare.
  •  16/06/2020 00:00

La moneta e non il debito pubblico è lo strumento per stabilizzare la crescita della domanda e del reddito

Ulteriori informazioni
  •  15/04/2020 00:00

La politica economica strutturale, di lungo periodo, è diversa da quella congiunturale

Ulteriori informazioni
  •  04/03/2020 00:00

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Cenni bibliografici  imageCenni bibliografici  imageCenni bibliografici  image
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  • Bernanke, Ben S., Deflation: Making Sure «It» Doesn't Happen Here. Remarks by Governor Ben S. Bernanke Before the National Economists Club, Washington, D.C., November 21, 2002, https://www.federalreserve.gov/boarddocs/speeches/2002/20021121/
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  • Bernanke, Ben S., The Macroeconomics of the Great Depression: A Comparative Approach, in «Journal of Money, Credit and Banking», Vol. 27, n. 1, February 1995
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Queste brevi note sono state compilate da Elio Cerrito, febbraio 2021, luglio 2021, settembre 2023