Le situazioni di finanza pubblica e di economia reale come di Borsa che possono verificarsi sono infinite, così come le variabili potenzialmente rilevanti. È tuttavia possibile delineare uno schema abbastanza preciso dello scenario ideale di politica economica per la crescita.
Lasciando da parte i lontani precursori, pur geniali a volte, e altri autori immeritatamente poco noti che pure hanno chiarito punto essenziali e condiviso la logica di fondo, tale scenario può essere definito sinteticamente sulla base di alcuni autori e di alcuni loro contributi della prima metà del ‘900 che si integrano nel delineare un contesto non solo auspicabile, ma in gran parte concretamente realizzatosi per alcuni decenni del XX secolo, dalla reflazione seguita alla Grande depressione alla Golden Age della crescita seguita alla fine della seconda guerra mondiale. Henry Abbati, John M. Keynes, Abba P. Lerner, Milton Friedman, Evsey Domar hanno messo a punto un set di acquisizioni di straordinaria importanza, chiarezza ed efficacia. Parte dei loro concetti, è vero, si è in alcuni casi rivelata falsa o assai meno solida e vitale, ed è esclusa qui. Senza entrare in dettagli, formulazioni che postulavano ad esempio una dipendenza stretta dei prezzi dalla moneta, o la tendenza del debito pubblico a stabilizzarsi automaticamente intorno a una certa quota del reddito, o l'efficacia determinante di una diminuzione del tasso di interesse nello stimolare l'occupazione e l'economia, o anche l'automaticità del moltiplicatore del reddito keynesiano, come altre proposizioni importanti si sono rivelate infondate storicamente e, a un'analisi più attenta, anche parziali o logicamente incongruenti. Le parti invece che qui si integrano sono solide e testate storicamente.
È sicuramente Milton Friedman che riassume alla fine in forma quasi esaustiva le nozioni essenziali degli altri autori in uno schema organico.
Nel solco delle acquisizioni che hanno portato a mettere a fuoco il ruolo essenziale della domanda nel creare lo spazio indispensabile alla estrinsecazione delle potenzialità della produzione, del progresso tecnologico, l’essenza della proposta di Friedman è una variazione automatica della spesa pubblica per mantenere stabile la domanda e quindi il reddito (o, più esattamente, nella sua formulazione, una proxy operativa del tutto errata, i prezzi, ma i suoi obiettivi sono sempre reddito e occupazione).
Nello schema ottimale delineato da Friedman, il bilancio è in pareggio nel medio periodo. La spesa pubblica non è finanziata attraverso manovre fiscali discrezionali, esplicitamente escluse e non necessarie nella logica del piano, bensì attraverso base monetaria, senza accensione di debito e interessi, e con regole sostanzialmente automatiche: “The essence of this fourfold proposal is that it uses automatic adaptations in the government contribution to the current income stream to offset, at least in part, changes in other segments of aggregate demand and to change appropriately the supply of money. […] Government would not issue interest-bearing securities to the public; the Federal Reserve System would not operate in the open market.”[1]
La condizione di un sistema bancario con riserva al 100% è superflua – vi sono altri mezzi più semplici e funzionali per controllare l’espansione del credito e della moneta –, ha come obiettivo esplicito separare la funzione delle banche di raccolta di depositi da quella del credito[2]. Legittima, di conseguenza, una piena sostituibilità della moneta bancaria e della base monetaria per esprimere il potere di spesa sul mercato. La moneta ha lo stesso valore se creata e messa in circolazione attraverso credito bancario o se emessa dalla banca centrale.
Si può andare oltre: quando una banca concede credito per effettuare investimenti e moltiplica così la moneta, emette – di nuovo – passività che anticipano un atto produttivo, né più né meno che come fa la creazione di base monetaria. Friedman introduce un nuovo importante principio. Le lacune di domanda rispetto al reddito ottenibile sono colmate con trasferimenti in base monetaria a sostegno dei disoccupati e del welfare[3]. Si tratta di un processo automatico, non discrezionale, regolabile per legge. È noto che Friedman sottolineerà poi sempre più l’importanza di una politica non-discrezionale, di una offerta stabilmente crescente di moneta, timoroso di quanto non si sa circa la relazione tra moneta, output e prezzi e dunque della discrezionalità. Ma, per gli errori che tale impostazione ha rivelato, ciò è solo di secondaria importanza ai fini della linea di pensiero che qui si ricostruisce. Si consideri: la base monetaria diviene risorsa pienamente organizzativa, capace di coordinare consumi e produzione potenziale, iniettabile negli specifici gangli, settoriali, regionali, in cui si registra necessità, inoltre secondo regole non discrezionali, se si preferiscono gli automatismi alla discrezionalità.
L’articolazione essenziale del piano esposto nel saggio del 1948 si riassume qui con una terminologia rispettosa della sostanza delle formulazioni friedmaniane[4], sebbene alcune connotazioni – in particolare il riferimento alla piena occupazione – siano una traslazione in un universo concettuale notoriamente non condiviso da Friedman:
Tradotto: con questo sistema di stabilizzatori, la società nel suo complesso gode di un benessere molto maggiore; i soggetti che vengono svantaggiati dalle logiche di ammodernamento delle produzioni funzionali al progresso sociale vengono temporaneamente ricompensati attraverso indennizzi, e poi impiegati nuovamente grazie a una domanda in continua espansione e dunque alla creazione di nuove opportunità di impiego.