1. Debito pubblico. una narrazione superficiale image
Il dibattito mediatico sulla questione del debito pubblico in Europa è caratterizzato usualmente da omissioni non neutre che allontanano da una seria impostazione della relazione tra crescita economica e debito, e più in particolare debito pubblico.
Sotto la spinta di tensioni assai serie, tale situazione è venuta timidamente cambiando con la crisi iniziata nel 2008, con la pandemia e con un lungo periodo di tassi di interesse molto bassi, a volte negativi in termini reali o nominali. Successivamente, la comparsa di una sostenuta inflazione ha spinto a modificare tale quadro, determinando tassi di interesse nominali alti e un sensibile rallentamento della crescita economica, due elementi che peggiorano il contesto di sostenibilità del debito. Tali evoluzioni sono inquadrate da molti quali eccezioni temporanee, mentre si stenta ad affrontare i nodi teorici di fondo del rapporto tra debito e crescita, cruciali per le prospettive di tenuta del progetto europeo e per un disegno efficace della costituzione monetaria dell'Europa unita.
Da un punto di vista teorico e storico, l'utilizzo che si fa del debito pubblico è distorto. Come metteva in chiaro Milton Friedman, da integrare con Evsey Domar e altri, la spesa pubblica deve essere mantenuta in sostanziale pareggio fissandola al livello per il quale la popolazione ritiene legittimo il prelievo fiscale e la produzione pubblica di beni e servizi, e può inoltre aggiungervisi un importo a debito finanziato in moneta per lo stimolo della domanda aggiuntiva che il sistema economico può sostenere attraverso l'aumento del livello di attività senza aumentare i prezzi. A grandi linee, dovrebbe esser questa la stella polare di una sana politica economica che si ponga come obiettivo la crescita dell'economia e del benessere goduto dai cittadini. In un saggio di particolare lucidità, apprezzato non a caso da Friedman, Abba Lerner chiariva come la funzione eminente della emissione di titoli del debito pubblico fosse quella di drenare liquidità a scopi restrittivi della spesa, non quella divenuta invece usuale di effettuare manovre espansive di politica economica. E indicava nella moneta lo strumento elettivo delle politiche di accompagnamento e di stimolo alla crescita economica. Di tali punti sono approfonditi i passaggi teorici fondamentali nel capitolo 7 di questo testo, da integrare con le sommarie informazioni offerte nel capitolo 5.
L'uso distorto del debito pubblico, dovuto a una pluralità di cause - ad esempio la debolezza della politica, oltre che fraintendimenti teorici -, ha condotto in gran parte dei paesi avanzati a un accumulo crescente di stock di debito pubblico, talora con tassi di incremento e ammontare dello stock  che destano preoccupazione. A sua volta, ciò ha determinato, in particolare in Europa a un dibattito che ha stigmatizzato il debito tout court, senza riflettere adeguatamente sulle cause della esplosione del debito, sulle funzioni anche positive ed essenziali che il debito pubblico (non necessariamente con cedola, non necessariamente oneroso) è sovente chiamato a svolgere, senza riflettere sulla radice di quella distorsione, ma unicamente ponendo limiti che si sono dimostrati di difficile rispetto.

Chiarito qual è il livello elettivo di spesa pubblica e come la funzione del debito pubblico oneroso vada di fatto invertita rispetto a quella espansiva in cui viene utilizzato usualmente, si cercherà qui sinteticamente di introdurre alcuni argomenti relativi al debito che di solito sono taciuti, e si esporranno più distesamente le linee teoriche che hanno individuato nella moneta e non nel titolo di debito pubblico lo strumento più efficace, razionale e sicuro per le politiche di sostegno alla crescita economica.

Il primo e fondamentale nodo, propedeutico a ogni altra proposizione, è che in una società di mercato non esiste atto produttivo senza debito; debito che esprime la domanda e la promessa di pagamento, si tratti di un deposito bancario, di un assegno, di una carta di credito, di un biglietto di banca, di un titolo di Stato o di una azione, di una cambiale, di un impegno a saldare scritto o verbale. In varie forme, la produzione di beni di consumo o capitale fisso è indissolubilmente legata al debito, e non può crescere se non incontra un debito, un impegno ad acquistarla. Senza una incessante e razionale emissione di strumenti di debito, biglietti e altre mille forme di passività finanziarie, gli edifici di Manhattan, le ferrovie italiane, le ciminiere o le banche e le assicurazioni non sarebbero nati. Il debito è l'altra faccia del prodotto, flussi di prodotto e flussi di debito non possono che crescere insieme.
Le analisi alle quali i media hanno dato spazio propongono purtroppo del debito pubblico accezioni superficiali, improntate a una impostazione relativa a specifici contesti che possono determinarsi, caratterizzati da debito oneroso (che deve pagare un interesse; non tutto il debito paga interesse, ad esempio la banconota non ha cedola), da tassi di interesse superiori al tasso di crescita della economia (ad esempio, in fasi recenti i tassi di interesse sono stati nulli e inferiori alla crescita del prodotto), da spesa finanziata dal debito che produce incrementi di prodotto inferiori all'onere del debito e al rimborso del capitale. E' in detti contesti, non in altri, che possono avere valore formule comunicative diffuse, quali 1) l’onere che i padri egoisticamente trasferiscono sui figli, 2) il tentativo di vivere al di sopra dei propri mezzi, 3) la insostenibilità di un debito divenuto gigantesco, e altre simili che nulla hanno a che fare con una visione esaustiva ed articolata.
Vere dunque in situazioni particolari, queste formule celano una parte cospicua e diversa della realtà relativa al debito, stigmatizzano il debito tout court e non approfondiscono gli assetti normativi e di policy utili per conseguire una crescita stabile, evitando i pericoli della stagnazione come del dissesto fiscale. Di massima, i contesti avversi sono in molti casi fronteggiabili con strumenti tecnici semplici ed efficaci, quali ad esempio la sostituzione delle moneta al debito oneroso, o l'utilizzo di strumenti fiscali e amministrativi, e anche condizionali, invece dei tassi di interesse per contrastare dinamiche inflattive dei prezzi.
In contesti più ampi, dei quali qui ci occuperemo, le critiche al debito vengono fortemente relativizzate, o svaniscono del tutto. In sintesi, sulla base di una ampia letteratura, il debito pubblico non è di per sé da stigmatizzare per principio, anche se la forma del debito pubblico oneroso deve ritenersi da utilizzare in pochi casi, essendo preferibile lo stimolo monetario della economia. Anche in questo caso, tuttavia non senza limiti. Come detto, Milton Friedman legittimava una spesa pubblica in sostanziale pareggio, fissandola al livello per il quale la popolazione ritiene legittimo il prelievo fiscale e la produzione pubblica di beni e servizi; Evsey Domar ha chiarito che inoltre occorre una quota di debito che sostenga l'espansione della domanda e della produzione possibile grazie agli incrementi di produttività.
Facendo riferimento a una casistica generale, ad esempio a contesti sommariamente definibili come caratterizzati da tasso di interesse del debito stabilmente pari o inferiore al tasso di crescita dell'economia, si forniscono qui in forma didascalica poche semplici note che introducono alcune essenziali nozioni a integrazione del dibattito sul debito per renderlo più equilibrato: la natura del debito pubblico sia di passività che di attività, l'effetto macroeconomico della spesa pubblica in disavanzo, il legame complesso e non necessario tra moneta e inflazione, le riflessioni teoriche che hanno individuato nella moneta e non nel titolo di debito pubblico lo strumento per una politica di stimolo della crescita.