Un’altra importante questione, tra molte, è rappresentata dal fatto che mentre il debito di una famiglia e la spesa del ricavato dell’accensione del debito non hanno effetti macroeconomici, la spesa dello Stato ha entità e qualità tali da determinare importanti effetti macroeconomici (consumi, investimenti, incrementi o decrementi di produttività e reddito, ecc.), sia quando il debito cresce sia quando il debito diminuisce. L'emissione e il collocamento di debito pubblico hanno effetti sulla spesa aggregata e sul reddito nazionale, effetti di compensazione, o di espansione, o di contrazione.
Senza entrare in dettagli e tecnicismi, gli effetti macroeconomici del debito pubblico si basano sui processi di espansione o di contrazione dei flussi monetari di spesa aggregata che esso innesca e che si indirizzano nella economia reale, flussi pubblici e privati; i flussi monetari di spesa esprimono una domanda che retroagisce immediatamente sulla produzione, attivandola, potenziandola o restringendola. Se la spesa esprime una domanda in crescita di beni e servizi, in condizioni ordinarie il sistema produttivo si attiva per soddisfarla fino al punto di pieno impiego delle risorse.
Questo lo schema di base. Rilevano ovviamente poi in quali circuiti detta spesa monetaria si indirizza, ad esempio se reali o solo di Borsa, la velocità con cui avviene la spesa, se la spesa finanziata con debito pubblico amplia la spesa aggregata – e in tal caso può generare crescita – o solo compensa in tutto o in parte autonome contrazioni della spesa privata (come spesso nelle crisi) con conseguente aumento del peso del debito sul reddito, oppure contrae la spesa drenando risorse finanziarie che non vengono reimpiegate; e rilevano molte altre considerazioni e variabili che qui si omettono. Un debito acceso in modo non dissennato – ma si ricordi anche il paradosso delle buche o quello delle bottiglie in Keynes – e con particolari tecniche che determinino consumi e/o investimenti e l’instaurarsi di una convenzione espansiva genera come contropartita ricchezza e un flusso implicito o esplicito di reddito e benessere; non è un atto dissennato. Ma un debito pubblico oneroso acceso senza incrementare la spesa nell'economia reale - ad esempio per incapacità di generare lo stato di fiducia tra gli agenti o per assenza di strutture imprenditoriali e normative idonee ad attivare la spesa e creare le infrastrutture materiali e immateriali necessarie -, un debito che compensa solo (magari parzialmente) autonome cadute di spesa dei privati - un rinvio di una vacanza, ad esempio, per ragioni prudenziali -, o che incrementa solo la spesa in altri circuiti non reali (Borsa, estero, ecc.), o che meramente spiazza e sostituisce altri flussi di spesa, non genera crescita e si traduce in aumento del rapporto tra debito e reddito. E' tale debito pubblico che genera problemi per il suo rimborso.
Del resto, anche nella mera ottica dell’uomo comune, la nozione è ben chiara a chi accende un mutuo per l’abitazione di famiglia o per acquistare macchinari per la propria impresa, e che certo pensa di migliorare, non di tarpare, il futuro, e anche immediatamente il presente, dei propri figli permettendo loro di godere di reddito (implicito come i servizi abitativi della dimora o esplicito come ad esempio i flussi di reddito assicurati da macchinari acquistati), benessere, salute istruzione altrimenti non producibili. Accende un debito e migliora la situazione presente e futura.
Una chiosa importante, perché non del tutto evidente al senso comune, è che anche un debito che si espande per finanziare consumi, attraverso l'espansione del prodotto stimola occupazione e investimenti, mentre stimolare i soli investimenti quando la domanda non si espande è difficile o sovente impossibile.
Una articolazione di tale punto, chiarita in modo lucido nel corso della prima metà del ‘900 da autori quali Henry Abbati, John Maynard Keynes ed Evsey D. Domar, è che la crescita della produzione e della produttività per potersi verificare necessita di una domanda aggregata costantemente e sicuramente in espansione; vale a dire di flussi e stock di debito in espansione. Altrimenti investimenti e sviluppo del prodotto e dei redditi sono tarpati dall'assenza della promessa di pagamento, della domanda, o non sono programmati; un imprenditore che producesse sapendo che la domanda per i propri prodotti è inesistente sarebbe condannato in breve a sparire dal mercato.
Tale conquista di consapevolezza interviene come perfezionamento di un corso di elaborazione teorica e pratica che parte almeno da Boisguilbert, passa attraverso Sismondi e Malthus fino a Hobson, e trova fondamento in dati storici assai corposi e solidi. Solo la fiducia degli agenti in consumi in misurata e stabile espansione, ben calibrata, crea la convenzione espansiva che spinge a investimenti, aumento della produzione e della produttività, e dunque crescita del reddito e del benessere. Questa fiducia, questa convenzione tra gli agenti della produzione deve essere creata dalla politica economica, come avvenne nella
Golden age, se non si instaura per processi contingenti e casuali. Si deve ad economisti di primaria grandezza, da Boisguilbert fino a Garegnani attraverso un percorso di alcuni secoli, la messa a fuoco nitida del rilievo strategico dei consumi per la crescita economica in una economia di mercato. Il pensiero economico ha anche messo a fuoco che una volta instaurata la convenzione espansiva non c’è alcun bisogno di politiche smodatamente espansive, di accrescere il peso del debito pubblico sul prodotto, di stimolare consumi futili e dannosi piuttosto che il progresso sociale, servizi qualificati, benessere diffuso, e anche stabile crescita dei profitti delle imprese.
Una specificazione importante, maturata con la sensibilità degli ultimi decenni, è che la crescita dei consumi non equivale necessariamente a spreco, futilità, inquinamento, devastazione dell'ambiente. Già nel secondo dopoguerra, i protagonisti della Programmazione economica italiana parlavano di qualificazione sociale della domanda, e ragionavano di consumi collettivi funzionali al benessere, dalle scuole, alla sanità, agli acquedotti. Non è tema di queste note, ma è evidente che stimolare e garantire la crescita non significa necessariamente promuovere modelli dissennati di consumismo, di spreco, di inquinamento, di devastazione del territorio, e deve oggi al contrario intendersi come crescita qualificata, che promuove il benessere diffuso e perequato, il progresso sociale e del diritto, la costruzione di abitati civili e ordinati, di servizi di integrazione sociale, di assistenza, di processi culturali avanzati, di recupero degli ambienti deturpati o a rischio, di riqualificazione urbanistica e architettonica, di igiene e prevenzione. E così via.