6. Molto più che questione contabile. la dimensione economica del superamento del conflitto image6. Molto più che questione contabile. la dimensione economica del superamento del conflitto image
L'analisi economica è mero strumento per la costruzione del progresso sociale, che come sosteneva Gustav Schmoller rappresenta il vero nodo dello sviluppo; ciò implica questioni assai più scivolose di una teoria micro o macroeconomica. L'Europa ha dato troppo peso al mercato negli ultimi decenni, dimenticando che il suo spirito costitutivo è di carattere sociale, giuridico, e risiede altresì negli insegnamenti e nel superamento di una storia tragica di conflitti. Il Manifesto di Ventotene ben riassume ispirazioni che risalgono almeno alla rivoluzione francese e sublimano l'esperienza di due conflitti mondiali.

Il quadro sommariamente delineato sopra non solo è più solido teoricamente e aderente ai dati rispetto alla narrazione corrente, ma, rimuovendo il vincolo rappresentato da risorse finanziarie finite (le risorse finanziarie si possono creare ad libitum, sono il lavoro, le risorse materiali e di conoscenza che costituiscono limiti invalicabili), è ricco di potenzialità e soluzioni che si estendono bel al di là della dimensione finanziaria del debito. La questione reale sottesa al tema del debito è la questione delle risorse finanziarie delle economie nazionali, degli Stati e dei privati. Trascende di gran lunga la dimensione tecnica e contabile, e investe potentemente questioni relative alla forza e alla autonomia dello Stato, alla politica, alla coesione della società, alla geopolitica, alla giustizia. Ed è verosimilmente alla geopolitica e a dimensioni sovranazionali che bisogna guardare per comprendere a fondo le ragioni di una storia economica lontana e più recente. Si tratta di dimensioni meno facilmente inscrivibili in analisi tecniche, aperte a incertezza maggiore, ma essenziali, e anzi forse le sole veramente rilevanti.
Sicuramente il quadro di politica economica sopra delineato è capace di mettere in sicurezza la finanza pubblica e, al tempo stesso, è idoneo all’estrinsecazione di politiche economiche di stimolo alla crescita e allo sviluppo sociale. Sicuramente, restando in un solido quadro europeo e regolatorio, e anzi rafforzandolo, restituisce a tutti i paesi membri elementi sostanziali di sovranità/sussidiarietà, sicurezza e non ricattabilità di paesi e governi. Sicuramente, eliminando un contesto di limitatezza di risorse finanziarie e vincoli irrazionali, tale quadro elide un terreno di gioco a somma zero e conflittuale tra paesi membri, e ne costruisce uno in cui tutti hanno pari dignità e possibilità di crescere e svilupparsi, creando vitali sinergie reciproche per lo sviluppo. Sicuramente, tale quadro ricrea le condizioni per un ritorno dell’Europa a una leadership internazionale, non egemonica e tesa alla supremazia, favorendo l’unità strategica dei paesi membri, arrestando il declino relativo dell’economia europea rispetto ad altre aree del mondo, restituendo status e fiducia ai suoi valori sociali e giuridici fondanti di solidarietà, diritti e dignità umani, partecipazione democratica, legittimazione popolare dei gruppi dirigenti. Sotto il profilo politico, sicuramente tale quadro rappresenta un terreno di confronto e riconoscimento reciproco tra le tradizioni della sinistra e una destra che da tempo non solo ha di fatto largamente abbracciato la democrazia, ma anche ritrovato una ispirazione sociale e di difesa dei ceti popolari piuttosto che di rappresentanza di interessi elitari. Sicuramente aiuta a superare cosiddetti sovranismi, ribellismi e populismi e sfiducia nelle istituzioni, ponendo fine agli assunti teorici che hanno determinato un trentennio di politiche sottrattive e di ostilità al ceto politico e alle istituzioni e tracciando, come già era accaduto negli anni ‘30 del ‘900, una base strutturale di convergenza tra interessi delle élite e dei ceti popolari; si sottovaluta grandemente il ruolo che tale contesto silente di fiducia nelle risorse della politica economica e nella crescita ha giocato nella evoluzione degli assetti politici domestici e internazionali dell’Europa post-bellica. Sicuramente, quel quadro smonta parole d’ordine e la retorica della necessità del ritorno della inflazione per abbattere il valore reale del debito pubblico, inflazione che significherebbe riproporre in termini reali, non più nominali, la medesima logica di austerità, di redistribuzione del reddito a favore dei forti, dei price setter, di impoverimento dei price taker e di ulteriore concentrazione delle imprese e dei luoghi di produzione; ed evidenzia la urgenza di politiche culturali e di coordinamento utili a evitare che pulsioni di rapido ripristino dei conti economici e di necessari riassetti dei prezzi relativi vengano traslate in distruttive e conflittuali dinamiche inflattive.
Sicuramente, infine, non tutto è noto e ancora vi sono aspetti importanti sui quali la ricerca deve avanzare, e, se necessario, emendare.